62 | La letteratura nel reticolo mediale. La lettera che muore, seconda edizione

2005-2015

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Edizione:
Roma, Luca Sossella Editore 2015


Indice

Avvertenza

1. Dell’empietà dei diacritici
2. Il ritorno del sortilegio orale
3. Perché muove il metro?
4. La lettera che muore
5. Chi inquadra la pagina?
6. Dal conviviale al comediale
7. Mimica da camera
8. La macchina di spropositi
9. Che cosa sente il pulpito?
10. Un viaggio sedimentale
11. Topoi di biblioteca
12. Eurecchiopei al crepuscolo
13. Dove guarda il grammofono?
14. Nel buio biblico
15. Come rimanere rimasti
16. Come consegnarsi residui

Note
Edizioni di riferimento delle opere analizzate
Bibliografia
Indice dei nomi


Next-week


Avvertenza

Questa nuova edizione della Lettera che muore, che innalza a vessillo quello che fu il suo fin troppo fortunato sottotitolo, non si limita ad aggiungere tre nuovi capitoli all’edizione Meltemi apparsa dieci anni fa. Non v’è pagina in verità del saggio che non sia stata per l’occasione riscritta, magari con l’intento di esplicitare non pochi snodi essenziali per la comprensione della tesi che sorregge il lavoro. A tale fine anche il corredo di note e approfondimenti è stato notevolmente ampliato, concorrendo a ribadire il regime a due velocità che accompagna spesso il mio lavoro di studioso. Fra i lettori che si dispongono a filare sul pelo delle argomentazioni, in specie se disposte come nel caso ad arcipelago, è sempre utile difatti immaginare vi sia chi preferisca al contrario concedersi il tempo necessario a perlustrare le singole isole. L’opera è del resto l’esito di circa vent’anni di studi nell’àmbito delle letterature comparate, ai quali si sono affiancati sette per lo meno in quello ancora tutto da costituire della comparazione fra media. Ed è ovvio che in buona parte sia la diretta emanazione dei corsi e dei seminari che in questo lasso di tempo ho tenuto in tre diverse, se non persino quattro, università italiane. Non posso dunque non dedicare questo lavoro ai miei studenti, ai quali so di chiedere talvolta troppo, ma che difficilmente mi deludono. La filologia dei mezzi è una metodologia appassionante, perché non può che rimbalzare costantemente fra i testi, che hanno sempre a guardar bene in loro le regole d’installazione e funzionamento, e i contesti dove scorrono le storie a pendenza lieve di materiali e supporti. Vi si staglia infine un mondo di maestri e maestranze, non l’eccellenza di un autore o l’idiosincrasia di un testimone. Per una generazione nata connessa alle varie velocità dei flussi di conoscenza, passare dalla sublimazione del sapere alla decantazione del saper fare, è più facile di quanto non si creda.
Nel corso di questa nuova stesura mi è capitato spesso di ripensare alla mia formazione, che poi voleva dire domandarmi come fossi giunto alla messa in questione radicale del termine “letteratura”, e al privilegio accordato invece a quella forza che vi soggiace, e persino persiste da un supporto all’altro come “arte del discorso”. Mi è venuta in mente una sempre più densa costellazione di studi, autentiche avventure bibliografiche, ma innescate comunque da alcuni piccoli eventi formativi: una lezione al mio terzo anno universitario sui modelli tipologico-culturali del Medioevo di Maria Corti, un breve corso estivo quello stesso anno sulla cosiddetta Parodia della Lex Salica tenuto da D’Arco Silvio Avalle (in cuppa non mittant negutta!), un emozionante convegno internazionale sull’oralità a Urbino nel luglio di due anni dopo, un paio di lezioni al dottorato di Giorgio Raimondo Cardona… E naturalmente i tre docenti dell’Università di Napoli che hanno inciso più profondamente sul mio modo di accostarmi alle discipline: Alberto Abruzzese, Giancarlo Mazzacurati e Vittorio Russo. E dunque all’epoca, fotografati in quella seconda metà degli anni Settanta: uno studioso di letteratura, imprestato alla sociologia, e prossimo a lanciare in Italia i primi studi mediali, un italianista che era invero nei suoi lavori e nel suo insegnamento quello che dovrebbe essere al meglio un comparatista, e un filologo che riteneva l’impegno sociale e la consegna etica più importante del monòpoli accademico e dello struggle of life disciplinare. Questo lavoro, per quello che vale, è innanzi tutto un omaggio a loro tre, e a quell’ulteriore livello che occorre aggiungere per radicare in altri la volatilità del sapere: il saper essere.
Ma un ringraziamento particolare lo devo infine a Luca Sossella: se la Lettera che muore torna a mettersi in cerca dei suoi intrepidi lettori, per indurli a ragionare sui mezzi, e a dubitare della loro presunta trasparenza, è merito suo.


Conversazione con Enrico Terrinoni su La letteratura nel reticolo mediale (2015)
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